Potrà sembrare strano incontrare quest'articolo fra pagine che trattano di magia, stregoneria, paganesimo... ma queste pagine appartengono a me, e io sono tante cose. Ciascuna di queste cose, che mi formano nella mia totalità, si ripercuote e si riflette, bene o male, anche sulla mia spiritualità, sebbene, agli occhi dei più, possano sembrare anche cose che niente hanno di spirituale. Ma per me non è così. E questo basta e avanza. Ecco perchè oggi, a dodici anni dalla sua scomparsa, ho deciso di raccontarvi di come io sia sotto l'incantesimo di Pina Bausch.

Chi mi conosce in ambito teatrale, sa che come regista ho una vera ossessione per Pina Bausch. Tutte le volte che mi è capitato di incontrare qualche addetto ai lavori così stupido, da pormi la stupidissima domanda “Chi sono i tuoi modelli?”, al mio citare Pina, mi sentivo puntualmente controbatte l’ancora più stupida osservazione “Intendo modelli teatrali. Registi, attori…”. Poveretti. Tuttavia, ciò mi ha fatto capire come ad alcuni (fortunatamente non a tutti) possa sembrare strano che un regista di teatro, l’arte della parola per eccellenza, nutra un così profondo interesse, verso una coreografa.

Quello di cui queste persone non si rendono conto e ignorano, è che definire Pina Bausch una coreografa, è quanto di più riduttivo si possa fare. Pina Bausch era molto più di questo.

Pina era una musa. Figlia di Tersicore, Pina era una danzatrice dalle braccia lunghe, sottili e forti, che incarnavano perfettamente l’insegnamento lasciato in eredità al Mondo da Martha Grahm, secondo cui: Le nostre braccia hanno origine dalla schiena perché un tempo erano ali”. Le braccia di Pina, anche quando sono puntate tese e rigide verso il basso, come nella sua interpretazione di Cafè Müller, sono braccia che respirano, che vibrano, che la sostengono e la fanno librare in aria come uno spirito diafano ed eterno. Sono state quelle braccia a far innamorare Pedro Almodovar di lei, e a spingerlo ad inserirla nell’apertura del suo Hable con Ella. Quella braccia che sono allo stesso tempo rami che sfiorano le stelle, e radici che sprofondano fino agli Inferi. Quelle braccia che quando le spalanca, o le intreccia, o le fa scivolare, ti spezza sempre il fiato perché sembra svelarti segreto con ogni loro movimento.

Pina era una visionaria. I suoi spettacoli, anzi, i suoi stücke, raccontano e riproducono miti, sogni e incubi. Sono abitati da uomini, donne, reietti, degenerati, angeli, demoni, beati, dannati… Pina sapeva sublimare le gioie e le tribolazioni più nascoste dell’animo umano in immagini, sapeva portare sul palco l’inconfessabile, l’indicibile, senza essere mai scontata o scadere nel porno-emotivo di certo teatro spazzatura, o nelle avanguardie forzate e ridicole del teatro (o danza) di ricerca degli anni ’70. I suoi erano dei veri e propri Tableaux Vivents, anzi, Dansants. Per me era la pittrice dei palcoscenici.

Pina era una mistica. A parte sapere che dava grande importanza ai sogni e alla loro interpretazione, non so nulla riguardo la spiritualità di Pina, ma sono certo che Pina fosse una mistica. Il suo cuore non apparteneva a questo mondo, il suo animo non era una semplice anima umana. L’ho capito guardando i suoi stücke, perché quelle danze sono degli atti rituali, incantesimi intessuti davanti a ignari spettatori. Una strega in grado di guarire, incantare, ammaliare senza pronunciare formule astruse, ma con l’uso delle immagini, perché come lei stessa diceva:

“Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti. Ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che cosa fare. A questo punto comincia la danza, e per motivi del tutto diversi dalla vanità. Non per dimostrare che i danzatori sanno fare qualcosa che uno spettatore non sa fare. Si deve trovare un linguaggio – con parole, con immagini, atmosfere – che faccia intuire qualcosa che esiste in noi da sempre”.

Pina era un oracolo. Una Pizia nordeuropea, che anziché vaticinare seduta su un trespolo sotto l’effetto di fumi mistici, se ne stava seduta dietro a un tavolo avvolta dai fumi della sua immancabile sigaretta a rimirare con occhi famelici e indagatori le proposte dei suoi danzatori per poi assemblarle nel responso divinatorio finale. Sua era l’arte di saper profetizzare e ritrarre le sorti di quello spaccato di umanità che portava in scena, delle città del mondo cui dedicava la sua ricerca quasi come un “antroportista” (termine da me coniato che unisce “antropologa” e “artista”), trasferendosi per settimane in quelle terre straniere che riusciva comunque a fare casa sua, a viverle, a respirarle e ad assorbirle talmente tanto, da riuscire a riprodurle su palco.

Tramite Pina ho capito quanto sia vero che la danza è la madre di tutte le arti.

Ho provato a viaggiare indietro nel tempo con la mente, ho cercato d’interrogarmi e a chiedermi quando l’umanità deve aver concepito il conetto di “danza”. Mi sono detto che probabilmente è stato quando il primo bipede ha mosso il suo primo passo. Un semplice movimento che ha risuonato nell’Universo come un rombo, un esplosione atomica. In quell’impronta è stato impresso tutto: l’intento, il peso, l’equilibrio e il disequilibrio, le sensazioni avvertite sotto la pianta del piede, il dolore, lo stupore, la terra, l’acqua, il fuoco, il vento…

Con quel primo passo l’uomo si è fatto piccolo dio.
Da quel semplice movimento, da quell’incerto calpestare, è nata l’arte.
In tutte le sue forme.

Perciò non stupitevi se Pina ha stravolta la mia vita con i suoi incantesimi…

 

IL RITO DELLA VITA

Come già ho detto, gli spettacoli di Pina sono ricci di ritualità.

Alcuni, quelli più classici, lo prevedono già per loro stessa natura. Penso a Iphigenie auf Tauris, a Orphée et Eurydice, o a Le Sacre du Printemps.

Ma penso anche ad opere originali ed elementali, come il paesaggio acquatico e lunare di Vollmond (il cui titolo significa proprio Luna Piena), o il limbo in cui sono incastrati i personaggi di Cafè Müller, o lo studio sul corpo umano fatto in Kontakthof.

Ma il rituale più potente, Pina ce lo regala con Nelken e il suo sterminato campo/palco di garofani. È qui che Pina inserisce la famosa Nelken Line,oggi diventata un’iniziativa internazionale e ripresa e diffusa in ogni spazio e ambiente.

Nella Nelken Line, Pina riassume in dei semplici gesti l’andamento delle stagioni. Un concetto quasi infantile, accompagnato da movimenti alla portata di tutti, ma che riassumono una ciclicità che va oltre quella stagionale.

Sono movimenti che ci parlano del grande ciclo di nascita – vita – morte – rinascita.
Sono movimenti magici.
Sono movimenti che possiamo usare ritualmente per celebrare la Natura e la nostra stessa esistenza.

Oggi dedicatevi un po' di tempo per imparare la Nelken Line, insegnatela a qualcuno, organizzate una sfilata dove potete metterla in pratica e riprenderla.

Un gesto rituale assume ancora più valore quando diventa universalmente conosciuto e riconosciuto.

Streghe, diffondete quest’incantesimo che Pina ci ha lasciato in eredità.
E arricchitelo con la vostra magia.

Ecco il link per imparare la Nelken Line.
Per vedere la Nelken Line in giro per il mondo, ecco il link.

© L’Almanacco delle Streghe