Gaeta è un comune italiano del sud del Lazio, che sorge nel golfo omonimo sul Mar Tirreno, a 90 km da Napoli. Terra ricca di leggende, folklore, miti e magia.

Secondo alcuni fonti estremamente contemporanee, il 3 Luglio ricorrerebbe l’antica festa della Strega di Gaeta, una sorta di dea protettrice e regina delle streghe (una rivisitazione di Aradia?).

Ho provato a cercare queste fonti antiche, ma il risultato è stato alquanto fallimentare, il che mi fa dedurre che sia a tutti gli effetti una di quelle celebrazioni moderni, a mio avviso rispettabilissime, che si cerca però di far passare per antiche al fine di ammantarle di un’aria di autenticità.

Ad ogni modo, qualcosa ho trovato sulla Strega (o anche Streghe) di Gaeta.

GIOVANNI PONTANO

La fonte letteraria più antica, pare trovarsi in un’opera di Giovanni Pontano, massimo rappresentante dell'umanesimo napoletano del Quattrocento e dell'Accademia Pontaniana. Nel suo dialogo “Antonius” (1491), uno dei protagonista, Suppazio racconta il suo viaggio in lungo e in largo per l’Italia alla ricerca del vero sapiente. Tra i vari racconti vi è quello del giovane che raggiunge la dimora della Strega di Gaeta, mentre è intenta a parlare con una giovane e con una serva che si sono presentate dalla donna portando una gallina nera, nove uova, un’anatra e alcuni fili, poiché è il terzo giorno dopo la luna nuova. La Strega a questo punto caccia le donne e dice loro di tornare al tramonto. L’azione che la donna deve compiere non è una semplice divinazione. Infatti l’antefatto ci racconta che la padrone della serva è stata messa incinta da un monaco, mentre la giovane donna è stata abbandonata dal suo uomo, abbindolato da un monaco, e ora si è rinchiuso nel monastero. La Strega inizia dunque ora la sua lamentatio in cui dichiara le difficoltà del suo continuare ad esercitare la sua arte, da quanto sono subentrati i monaci. Vi riporto di seguito il racconto fatto da Suppazio, tratto dal dialogo originale.

"A Fondi e ad Itri le cose sono andate per quel che mi riguarda un po’ più tranquillamente, perché non vi trovai, non dico grammatici, ma nessuno che sapesse di grammatica: gli abitanti della città, infatti, venerano non una Pallade cittadina, ma contadinesca, giacché si occupano tutti di olio. Entrato in Gaeta, mi è venuta incontro una donnina che mi chiamò cortesemente e m’invitò a riposare all’ombra, stanco com’ero dal cammino, versandomi un po’ d’acqua fresca da un vaso di vetro limpidissimo per farmi sciacquare. Mi piacque la sua familiarità; aveva cominciato a chiedermi notizie sulle mie origini e sulla famiglia, quando subito una ragazza dal volto non privo di grazia se ne venne portando una gallina quasi tutta nera con nove uova fatte, come diceva, il venerdì. Poco dopo arrivò una servetta con un’anatroccola ed un filo bianco. La donna ordinò a tutte e due di andarsene e di ritornare quando erano accese le luci, ricordando che eravamo al terzo giorno della luna; e a me rivolgendosi disse: «Da quando ho perduto mio marito, non avendomi lui lasciato niente morendo, ho cominciato a fare questo mestiere. Ed è certo che, essendo un po’ superstiziose le donne di Gaeta, potrei con questo campar la vita abbastanza agevolmente, se alcuni frati non mi strappassero il guadagno, a forza di interpretare sogni e mettere in vendita la punizione divina, promettendo mariti alle zitelle, figli maschi alle donne incinte e prole alle sterili; ma la loro maggiore empietà è che, essendo la popolazione di Gaeta per lo più dedita alla pesca, vengono frequentemente di notte a trovare le mogli dei popolani, con le quali di giorno s’incontrano in chiesa col pretesto delle funzioni religiose. E per non farti pensare, forestiero, di essere preso in giro, ti dirò che la servetta che hai vista è venuta a chiedermi un consiglio per conto della sua padrona, rimasta incinta di un fraticello. La ragazza venuta prima era maritata a un uomo, dalla cui avvenenza non so qual buon fraticello, molto caro a Dio, è stato conquistato, e con le sue arti lo ha sedotto e convinto a farsi frate, ed ora lo tiene con sé nella cella». «È una vergogna – le dico –; ma non vorrei che ti facessi nemici i frati, che vedo far da padroni nelle città d’Italia». Ed ella: «Nessun timore, ti prego, perché, fin da giovinetta conosco il guardiano del convento, e, se non mi sbaglio, è quello che vedi venire da queste parti». E appena finito di parlare, ritirandosi in casa, mi salutò".

Dunque addirittura gli stessi monaci, si rivolgono ai favori e alla seggezza di questa Strega contadina, custode di un potere ancestrale. 

In questo racconto è interessante, a mio avviso, notare l'uso del termine Pallade. Suppazio afferma che in questi luoghi non si venera una Pallade cittadina, ma contadinesca; l'appelativo di Atena è usato dunque come metafora per parlare di "sapere, conoscenza, saggezza, istruzione". Tuttavia, non sarebbe sbagliato prendere in considerazione l'ipotesi che possa riferirsi anche una qualche divinità più "rurale", pagana, non soppiantata dal cristianesimo. A dare ancora più valore a quest'ipotesi è il fatto che Suppazio spiega che in queste terre, tutti si occupano di produrre olio, sono terre ricche di ulivi. Ebbene proprio l'ulivo è l'abero sacro di Atena, anzi è l'albero generato dalla dea stessa. Il mito narra che Atena e Poseidone si sfidarono nel generare il dono più bello da offrire a Zeus. Poseidone colpì con il suo tridente il suolo, facendo nascere il cavallo più potente e rapido, capace di vincere tutte le battaglie. Atena colpì con la sua lancia una roccia, generando il primo albero d'ulivo, capace di illuminare la notte, medicare le ferite, curare le malattie, offrire prezioso nutrimento e donare benessere e pace a tutti quei popoli che l'avessero coltivato. Zeus fra i due doni, scelse proprio quest'ultimo, offrendo così ad Atena la potestà sulla città di Atene dandole il suo nome. Ovviamente mi rendo conto che la teoria che Suppazio si riferisca a una divinità del volgo, sia alquanto stiracchiata, ma secondo me è possibile.

Altro termine interessante è quello usato dalla donna nel suo racconto: "victitarem", tradotto come "campar la vita abbastanza agevolmente". Victitarem, deriva da Victito, una forma usata particolarmente da Plauto, con allusione proprio al mestiere con cui le fattucchiere si procuravano da vivere. Termine che quindi conferma che la donna incontrata da Suppazio è, a tutti gli effetti, una strega. Se sia quella quella stessa "Pallade Contadinesca" da tutti venerata, e quindi una sorta di divinità, non è dato saperlo, certo è che la grande dedizione che tutti le dimostrano (compresi i suoi nemici), potrebbe farci pensare che questa donna era a tutti gli effetti una figura sacra per coloro che abitavano queste terre.

CHARLES GODFREY LELAND

Il secondo riferimento lo si può trovare in  Etruscan Roman Remains in Popular Tradition opera del 1892 del folklorista Charles Godfrey Leland.

Nella suo opera Leland, parla ad un certo punto de La Saga delle Streghe:

“una piccola moneta che possiedono le streghe e con cui vanno di martedì o di venerdì, sulle strade per raccogliere o grattare la terra dalle impronte dei piedi delle persone. Le Streghe rimuovono la terra con queste monete, per poi usarla per far del male a quelli che hanno lasciato l’impronta”.

Dalle indagini fatte da Leland, per proteggersi dalla Saga delle Streghe, bisogna recitare un incantesimo che dice:

“Saga mulega stregone e Streghe di Gaeta,
che filano la seta…”

Il termine “mulega” è una parola gergale usata dalle streghe, per indicare la terra raccolta dalle impronte, e starebbe ad indicare il fatto che quella tagliata, non è semplice terra ma un pezzo di carne dei piedi della vittima.

La canzone della Saga Mulega aiuta a contrastare l’attacco delle Streghe di Gaeta, ma mentre la si recita bisogna creare la “culla del gatto” (avete presente quel giochino che spesso facevamo da bambini con elastici e fili tenendoli tesi fra le due mani e creando figure, per poi passarlo ad un compagno di giochi senza lasciarlo disfare, per far sì che creasse una nuova figura? Proprio quello!). Recitando l’incanto della Saga Mulega mentre si “gioca” con la corda, si ottengono responsi e risposte analizzandone nodi e figure che vengono a formarsi.

L’incanto completo della Saga Mulega, recita:

Saga Mulega, stregoni e Streghe di Gaeta!
Che filano la seta
La seta ed il bombaggio;
Mi piace quel giovine
Che sbatte le castagne
L’isbatte tanto forte alle streghe,
Fa tremare le porte;
Le porte son d’argento,
Che pesano cinque cento;
Cunque cento, cinquanta,
La mia gallina canta -
“Non era gallina, che canta”.
“Ma è un gallo –“ “Non è un gallo che canta,
Ma è una strega senza fallo”.
“Se una strega è, una strega pur sia!
Ma che il diavolo la porti via!”

LA TARNACCOLA

L’ultimo riferimento alla Strega di Gaeta, potrebbe essere forse quello inerente la Tarnaccola, figura legata all’etrusca Thanaquil (latinizzato poi in Tanaquilla), di cui parla l’autrice Maria Stamegna nel suo “Miti e Leggende del Centro Sud Italia”.

Thanaquil significa “dono di Thana”, la divinità lunare, corrispondente a Diana, ed è venerata nel culto etrusco come una vera e propria dea.

Secondo la leggenda, Thanaquil, erede di una famiglia aristocratica etrusca, era una sorta di sibilla in grado di leggere il senso più profondo delle cose e cogliere in esso il messaggio degli dei. Era la moglie di Tarquinio Prisco, primo re di Roma di origine etrusca; esperta in prodigi e divinazioni ed annunciò al marito che sarebbe divenuto re, dopo aver osservato un’aquila (sovrana di tutte le creature alate) portar via e poi riportare la corona del re. Come narrano le leggende locali veniva invocata, quale madre di re, dalle donne sterili per poter avere un figlio.

Presto, però, assunse sempre di più le sembianze di una Lamia e, nel folklore gaetano diventò un mostro, una mangiatrice di bambini, che toglieva alle madri del mondo la loro la gioia più grande.

La leggenda dice che Lamia, la bella regina di Libia, fu rapita e amata dal Dio Zeus sulle spiagge di Formia. Quando Era, apprese della loro relazione uccise i figli della regina, che impazzì dal dolore e si strappò gli occhi. Impazzita a causa del dolore e della disperazione, iniziò a rubare e divorare i bambini degli altri.

Quindi, nelle leggende popolari, la Tarnoccola, prima permetteva alle postulanti di avere il tanto agognato bambino e poi, una volta nati i piccoli, tornava a riprenderli per divorarli.

È assimilabile alla Pampanella, detta anche Mammanella o Mammana, della tradizione di Rocca di Papa, che è lo spirito di una strega che porta via i bambini che non vogliono rientrare, quando è buio, o che vanno a giocare alla sua fortezza, l’Orcatura.

Generalmente la Tarnoccola veniva individuata in donne vecchie, ossute, con naso adunco, ma anche in animali.

CONCLUSIONI

Mi rendo conto che nessuno degli esempi citati può effettivamente costituire fonte certa sull’esistenza di una Strega di Gaeta come manifestazione della Regina delle Streghe, e sul suo legame con la data del 3 Luglio. Forse qualcosa potrebbe trovarsi nei ricordi dei vecchi e delle vecchie della città di Gaeta, nei racconti delle nonne e delle bisnonne, in quell’eredità dei nostri anziani che spesso diamo per scontata e che invece è ricca di saggezza e conoscenza.

Se qualcuno di voi, magari originario proprio di quella terra, nel leggere quest’articolo, volesse condividere informazioni al riguardo, sarò ben felice di aggiungerle citando la fonte.

Potrebbe essere questo un modo per dar seguito all’antico folklore italiano.

 © L'Almanacco delle Streghe

Immagine: Jean Baptiste Camille Corot: Woman with a pearl