Il alcune Tradizione Neopagane, il 26 marzo si celebra il Giorno della Solitudine. Una giornata dedicata all’isolamento volontario e al silenzio per cercare di mettersi in connessione con le proprie profondità e con il proprio mondo interiore.

Questo mi ha portato a riflettere su di un tema spesso dibattuto: “Praticare da soli o in una Coven”?

Iniziamo da un dato di fatto: siamo tutti dei praticanti solitari. Potrà sembrare semplice, scontato e banale, ma non è così. Anzi.

In moltissimi neofiti che si avvicinano al paganesimo, scatta subito l’interruttore che li porta a pensare e dire: “Ho bisogno di un maestro” “Dove posso trovare un gruppo con cui praticare?” “Esistono Congreghe nella mia città?”. È come se quando si inizia a leggere il primo libro, la prima cosa da fare è quella di decidere se lavorare da soli o in gruppo.

Il mio consiglio è: prendete un bel respiro e calmatevi.

La maggior parte di noi ha iniziato esattamente dallo stesso punto da cui state cominciando voi. Per alcuni è stato un libro, per altri un sito web, per altri un telefilm ecc. Ma comunque sia arrivato l’incontro con questo Mondo, tutti siamo partiti da soli. Ci siamo incamminati con le nostre gambe tra scaffali di biblioteche e librerie alla ricerca di testi, abbiamo passato nottate davanti al pc tenendo la linea telefonica di casa occupata navigando su siti per la maggior parte inglesi e americani, cercando di capire perché questa realtà fosse così vera e tangibile in alcuni Paesi e in altri no, abbiamo iniziato a fare scorte di candele, incensi e spezie senza saper esattamente come utilizzarle...

Tuttavia, quello della “Strega solitaria” credo sia uno dei più grandi malintesi della Stregoneria.

Se da un lato, nei neofiti pare esserci questa continua smania e voglia di voler appartenere a qualcosa di collettivo, dall’altro lato, nei praticanti più navigati, già solo l’idea di far parte di un gruppo di studio o di pratica, genera quasi un senso di ripugnanza.

La frase preferita da questo “tipo” di Strega è: “Ecco perché pratico da sola/o” “Ecco perché sono una strega solitaria”. Tutto il sottotesto di queste frasi, sta in quel “Ecco perché...” che non capisco mai se rappresenti una rivendicazione o una rassegnazione.

In linea generale mi sento di poter affermare che, secondo i migliori luoghi comuni tipici del movimento Pagano, esiste una generalizzazione e un’essenzializzazione della questione che porta a vedere le Congreghe come realtà adatte per le persone che vivono nelle grandi città e a cui piace sentirsi dire cosa fare e pensare, mentre i solitari sono praticanti liberi, spudorati e che non vogliono essere comandati a bacchetta.

Uno dei tanti pregiudizi e stupidi malintesi di cui siamo noi stessi autori.

La verità è che non c'è una sola ragione per essere l'una o l'altra cosa e non c'è un solo modo per esserlo.

Il motivo per cui dico che è tutto un malinteso è quello espresso sin dall’inizio di questo articolo: tutte le Streghe sono in definitiva solitarie. Che si appartenga o meno a un gruppo, camminiamo sulla nostra strada da soli.

Un'affermazione audace, lo so, ma in cui credo profondamente.

Quando ho iniziato a conoscere la Wicca, ero un adolescente. Non conoscevo altri wiccan “ufficiali”, e anche se fosse stato diversamente sarei stato comunque troppo giovane per entrare e praticare in una Congrega (almeno, in quelle tradizionali, che richiedono studio e addestramento, oltre che un’iniziazione, non mi riferisco a un cerchio di adolescenti improvvisato, che può costituire comunque un momento di crescita e confronto personale). Così ho coltivato DA SOLO una pratica personale radicata nella mia esperienza personale, costituita da ciò che stavo imparando e limitata da ciò che potevo e non potevo fare essendo un comunissimo teenager di periferia (una Strega di Periferia, mi verrebbe da cantare storpiando la canzone di Anna Tantagelo!). Quella pratica personale e solitaria si è evoluta con ogni nuovo libro e (alla fine) con ogni cerchio pubblico che ho frequentato e con ogni nuovo contatto che ho avuto.

Ho appreso, imparato, la mia vita è cambiata e la Ruota ha girato. Ho continuato a costruire, ad ambientarmi, ad affrontare nuove sfide e a cambiare di conseguenza.

Al momento non faccio parte di una Congrega o Coven, seguo una Tradizione specifica, faccio parte di un gruppo di studio e pratica, sono membro di una Comunità. Tutto questo non ha ostacolato o fermato il mio processo evolutivo o il mio percorso personale e solitario. Semmai tutto il contrario!

Sono diventato parte di qualcosa più grande di me - una Tradizione - e ho accettato di imparare da altre persone in un ambiente più formale, ma dopo le Celebrazioni di gruppo o una lezione, torno comunque a casa da solo. Il mio altare, la mia magia, il mio rapporto con il Divino e gli Spiriti, resta comunque vivo, intimo e personale. Anzi, semmai è ancora più forte e radicata.

Scegliere di prendersi per mano e creare un Cerchio con altre persone, o decidere di lanciarsi in una Danza a Spirale con gli altri, non cambia (o non dovrebbe cambiare) il proprio modo di essere o il proprio passato.

Avere una Congrega, far parte di una gruppo, abbracciare una Tradizione, sono esperienze preziose, trasformatrici e rivelatrici.

Talvolta facciamo fatica a riconoscere le nostre qualità, o a vedere il Divino che vive in noi. Praticare in gruppo ci consente di riconoscere spesso queste doti negli occhi degli altri, e di conseguenza gli altri le vedranno in noi. Siamo interconnessi. E riconoscere il Divino che vive nel mio compagno di Congrega mi porterà a riconnettermi con il Divino che vive in me. Senza contare che se si è insieme, ci si può sentire anche più sicuri nell’andare lì dove abbiamo paura di andare e di confrontarci con i nostri limiti personale.

La Congrega è l’ancora, il filo dell’aquilone che ci tiene saldi a terra mentre viaggiamo negli altri Reami o scendiamo agli Inferi.

Tutto questo però, non sostituisce il lavoro che si fa da soli. E non dovrebbe mai farlo, perché l’altra faccia della medaglia è che una congrega non è per sempre.

La gente si trasferisce, cambia città, lavoro, le persone litigano, ci deludono, cambiano spiritualità o muoiono. Non dobbiamo permettere che queste cose ci fermino.

Una pratica solitaria è fondamentale, perché quando si arriva a questo punto, ci si ritrova da soli. Di nuovo. Al punto di partenza.

Non sono proprio sicuro del perché così tante persone si ostinino a lodare o screditare il lavoro in Congrega o la pratica solitaria, in un confronto continuo. A un certo punto della “Storia della Wicca”, l'idea del praticante solitario ha generato una rivoluzione, apportato una novità e sollevato una grande polemica, ma di certo non credo siano mia stati concepiti il concetto e l'idea che chi appartenesse a una Congrega tradizionale non praticasse anche da solo. Non è una dicotomia. Non è necessario scegliere. Anzi, non si dovrebbe scegliere. Nessuno di noi può prevedere come sarà la propria pratica tra anni. Un periodo passato a lavorare in una congrega o in solitaria non significa che non si farà l’opposto in futuro.

Tendiamo a parlare del "praticante solitario" come se fosse un tipo di personalità a sé stante, che esclude tutto il resto, quando in realtà è solo un aspetto dell'essere Strega.

Non c'è da meravigliarsi che la gente abbia nozioni così irrealistiche su ciò che accade nelle Congreghe. E non c'è da stupirsi che le nuove Streghe si sentano subito affascinate dalla pratica di gruppo e si affannino a cercare di essere all'altezza di qualche standard invisibile e misterioso per cercare di stabilire una pratica personale.

Dovremmo smetterla di pensare in maniera così limitata e binaria.

Ognuno di noi è un praticante solitario.
Ma ognuno di noi è anche una moltitudine.
Nel cuore di ciascuno di noi vivono i nostri Antenati e le nostre Antenate: le Streghe che ci hanno preceduto, formano già la nostra Coven più profonda e invisibile.
Quindi, forse, solitari sì, ma soli MAI!

© L’Almanacco delle Streghe